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Il destino appeso ad un filo 1

IL DESTINO APPESO AD UN FILO

 

 

La primavera del 1992 coincide con la mia svolta definitiva del modo in cui avrei continuato a pescare le carpe , in quel periodo infatti mi convertii completamente alla tecnica del carpfishing che in quel momento cominciava a prendere forma in Italia merito soprattutto di valorosi “paladini” del calibro di  Roberto Ripamonti e Andy Little . La mia conversione avvenne dopo aver letto una pubblicità di una ditta che rispondeva al nome di Tecnicarp la quale indicava l’indirizzo di un negozio che si stava avvicinando a questa nuova tecnica di pesca . Così raggiunsi questo sito dove ebbi modo di acquistare lo stretto necessario che mi sarebbe servito per poter pescare nel modo corretto le mie beneamate . Avrei maledetto quel giorno se solo avessi saputo a cosa sarebbe andata incontro la mia vita segnata per sempre da questa “insana passione” .Tra  tutte queste cose così nuove , strane e maledettamente intriganti , una su tutte però mi lasciava dubbioso : l’air rig , un modo troppo diverso di concepire un innesco per essere “digerito” facilmente anche dal più grande dei lungimiranti ,come molto diverso era il materiale che componeva questo terminale , quello strano “cordino nero” meglio conosciuto col nome di dacron , indubbiamente efficace ma così diverso dal nylon con cui ero abituato ad armeggiare. In quel negozio acquistai gli unici  due tipi di filato disponibili : una bobina di dacron Tecnipeche e una di multifibre entrambe da 10 libbre , qualche tempo dopo nel tentativo di affinare la mia tecnica mi procurai un rocchetto giallo di dacron verde mimetico della Drennan... da 8 libbre...La cava di Casale era ancora un paradiso vergine nel quale linear dall’incredibile bellezza (mai più riviste) si concedevano facilmente al mio obiettivo , ma quante di loro spezzavano i finali appena giunte nell’immediato canneto, vorrei poi stendere un velo pietoso su nodi non propriamente corretti che si scioglievano sotto i colpi sicuramente ben assestati di carpe vigorose . Ricordo anche di qualche appassionato che si arrangiava con del filato usato nell’industria calzaturiera che poi puntualmente veniva decantato come “il migliore”.Se ripenso a tutto questo provo tenerezza per tutta l’inesperienza vissuta sulla nostra pelle e per quegli errori commessi che però sono serviti a farci maturare lentamente , di pari passo con l’evolvere di questa tecnica di pesca in Italia. Ripensando sistematicamente a questi errori mi sono accorto dell’importanza che viene ricoperta dalla giusta scelta del tipo di finale che dovrà essere appropriato alle caratteristiche della futura battuta di pesca . In questo appuntamento è mio desiderio dare un contributo che possa in questa maniera aiutare gli appassionati con meno ore di pesca all’attivo in modo che la loro scelta possa essere più agevole e obiettiva ,naturalmente senza perdere l’occasione per offrire uno spunto su un utilizzo più sicuro e redditizio tanto che , per una volta , gli errori e gli sforzi profusi non siano stati vani . Nell’occasione ci limiteremo ad esaminare finali di ultima generazione , quelli della famiglia denominata con la sigla HPPE (high performance poliethylene  ) e le loro innovative evoluzioni , riuscendo, con questi materiali, a coprire la quasi totalità degli eventi di pesca , riservando per i monofluorocarbon un futuro spazio esclusivo. Troviamo così nella nostra ipotetica cassetta degli attrezzi , finali ultramorbidi e in varie tonalità ,dei lead-core cioè calze in materiale trecciato con all’interno un’anima in filo di piombo , dei combi-link che permettono di lavorare in contemporanea con trecciato e multifibre e infine i materiali morbidi per eccellenza resi rigidi da una ricopertura in materiale plastico asportabile a piacere . Il panorama è indubbiamente vasto e risulta naturale pensare che anche pescatori di provata esperienza possano provare qualche momento di disorientamento davanti a cotanta abbondanza , confusione e incertezza sono alleate inevitabili dell’errore che si ripercuote drasticamente sull’esito delle nostre tanto attese sessioni . Andiamo con ordine , partiamo dal presupposto che tutti i trecciati o filati che dir si voglia , hanno ragione di esistere perchè nati da effettive specifiche esigenze (anche di innovazione) delle menti dei tecnici dalle quali sono scaturite , abbiamo motivo di pensare che ad ogni situazione è abbinabile un finale specifico dalle caratteristiche che più si avvicinano al massimo della resa per l’ottenimento del miglior risultato. Non dobbiamo mai stancarci di porci dei quesiti con i quali sarà più facile ricadere su una scelta  ponderata quindi più precisa , quella che in definitiva ci potrà riservare il massimo delle qualità performanti .La portata  In apertura si rende necessario puntualizzare un discorso per il quale , fatte le debite eccezioni ,è possibile generalizzare , in quanto non strettamente legato ai luoghi e ai metodi : si parla di libbraggi . L’esperienza di questi anni  ha insegnato che le portate di 20 e 25 Libbre sono tra le più indicate nella nostra disciplina e quelle da consigliare in assoluto, va da sè che il laghetto sotto casa , perfettamente pulito e privo di “animali” capaci di sprigionare una “certa” potenza e/o accelerazione potrà essere affrontato con portate inferiori , tolti questi casi , cerchiamo di optare sempre per portate che possano garantire un margine di sicurezza , l’immagine ricorrente in questi casi ,quella di carpe con il “piercing” è una cosa che va sempre evitata , molto meglio vederle nuotare al sicuro all’interno di un guadino. Il nodo in questione Una volta scelto un libbraggio adeguato , mai sottodimensionato, dovremo, per rendere efficace e sicura la nostra scelta ,abbinarla a legature che possano garantire la portata promessa. Un nodo ben fatto vale una carpa nel sacco , è per questo che  le maggiori case produttrici di trecciati consigliano dei nodi che possano scongiurare i rischi che provengono ,nella maggioranza dei casi, da uno strangolamento per trazione del nodo stesso . I nodi usati correntemente e da lungo tempo che offrono le più alte garanzie di tenuta sono il 4/5 turn grinner , il Palomar , il no-knot e il Klinch  (la foto esplica due esempi) .La realizzazione del lavoro va eseguita senza nessun tipo di compromesso , per arrivare al risultato finale procederemo con la dovuta precisione stringendo le spire con cautela  e lubrificando il filato con la saliva senza correre mai il rischio di surriscaldare le fibre, serrato il nodo è sempre buona norma bloccarlo con della colla meglio se di tipo gommoso e resistente all’acqua tipo Kryston Bondage o Nash Black jack, se durante il lavoro dovessero nascere dei dubbi , non esitate a buttare il tutto per ricominciare da zero , questo particolare è alla base della nostra tranquillità nel momento in cui questi nodi saranno immersi. Prevenzione Per rimanere in tema di tranquillità, un accorgimento che dovremmo adottare in qualsiasi caso ma a maggior ragione in presenza di trecciati , è il controllo sul loro stato di integrità , esame che andrà eseguito all’inizio della pesca e successivamente ad ogni altra fase nella quale si rende possibile (dopo una cattura o un recupero) nell’ ispezione dovremo prestare attenzione a eventuali fastidiosissimi nodi che possono venire a crearsi in determinate condizioni , facili da individuare e sicuri imputati  in caso di fallimento , la ricerca continua nell’intento di trovare eventuali sfilacciature che riguardano alcune fibre che compongono il finale, questo tipo di problema è di più difficile individuazione soprattutto in presenza di poca luce , torna utile in queste circostanze avere a portata di mano una lente d’ingrandimento con la quale potremo oltremodo verificare con precisione lo stato di salute della punta dell’amo . Non è retorico ricordare che non dovremo scendere a nessun tipo di compromesso , la posta in palio al prossimo lancio potrebbe essere molto alta. Teme il calore Vi è mai capitato che il vostro finale preferito cedesse sul più bello e di aver perso la fiducia nei suoi confronti tanto da averlo abbandonato ? La perdita di fiducia in un trecciato causata dalla sua rottura può essere determinata dall’inosservanza dei succitati dettami ma anche da specifici trattamenti nella preparazione dei nostri air-rig , mi riferisco alle pratiche che fanno uso del vapore (line-aligner in primis) per il restringimento delle guaine a variazione termica del diametro. In queste procedure la prudenza non è mai troppa ma è superfluo ricordare che è bandito l’uso di fiamma diretta ( es. accendino) l’uso della fonte di vapore con acqua in piena ebollizione o l’immersione del filato in acqua con temperature prossime ai 100 °C può comportare lo stravolgimento nella natura di alcune fibre termosensibili che costituiscono il trecciato. Ho potuto notare che questo tipo di inconveniente sorge in presenza di materiali  a composizione mista riconoscibili dall’aspetto dal colore variegato. Ovviare a questi inconvenienti è possibile adottando un paio di strategie : la prima è quella di evitare di esporre in modo  diretto le fibre vicino ad una fonte troppo energica di vapore , molto più “salutare” risulta immergere la parte da trattare in acqua a 80-90°C , la seconda è conseguente ed aiuta ad aumentare la resa , è quella di adottare  delle apposite guaine termorestringenti con un alto coefficiente di ristringimento anche a basse temperature . Un piccolo espediente per realizzare ottimi rig con l’uso di queste guaine, quando siamo a pesca , è quello di adoperare una caffettiera opportunamente caricata a sola acqua , come fonte di vapore .Nel prossimo intervento continueremo il discorso entrando nel vivo della questione affrontando i problemi legati alla galleggiabilità ,al mimetismo e alle possibili scelte , intanto rimpiango di non essere nato carpista , perchè avrei anch'io la mia bella over twenty appesa al medagliere , perchè...chissà perchè...quella persa è sempre la più grossa !!