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L'attimo fuggente, terza parte

L’ATTIMO FUGGENTE

terza parte

di Stefano Forcolin

Siamo giunti all’epilogo. Con questo spunto abbiamo toccato quei punti che sono le basi sulle quali costruire un lavoro che abbia senso e che, soprattutto, funzioni. Se penso a quanti anni ho passato sul tavolo dei miei  terminali e a quante carpe  oggi entrano nel mio guadino anziché lasciarmi sconfitto e deluso, credo che tutta questa pazienza e tutto questo lavoro abbiano ricevuto il giusto compenso. L’interrogativo però sussiste: quanto dureranno queste mie convinzioni?

                                 

L’avvento del Line Aligner ha introdotto concetti iniziali che hanno attecchito senza alcun problema nella mente degli appassionati. Il tempo e la voglia di osservare per capirne qualcosa di più ha portato all’introduzione di altri concetti altrettanto validi e di sicura applicazione. Secondo il mio punto di vista si è sempre pensato (forse anche in maniera fuorviante ), che l’effetto di rotazione dell’amo si attui solo dopo che il pesce,  muovendosi, metta in trazione il terminale il quale verrà inevitabilmente in contatto con il peso del piombo che avrà, per ultimo, il compito di puntare l’amo nelle labbra della preda. Io credo invece che l’effetto rotante inizi non appena la carpa abbia aspirato l’esca per effetto del movimento che il terminale subisce. Per incentivare questo concetto, sembrano avere migliori qualità i terminali ricoperti in quanto semirigidi, i quali sfruttano la loro naturale proprietà quale iniziale freno inibitorio che crea inerzia che, da sola, è in grado di innescare il fenomeno indotto della rotazione nell’amo stesso. É tassativo quanto scontato che la parte di finale inguainata, prossima all’amo, venga spellata per una lunghezza proporzionata alla lunghezza totale del finale stesso (da 1 a 5 cm, di parte scoperta per terminali da 10cm a 25cm), questo per permettere all’amo di essere libero il più possibile di muoversi. Anche lavorando con terminali totalmente morbidi potremo anticipare e coadiuvare l’effetto rotante inserendo piccolissime parti di pasta di tungsteno lungo al terminale. Con questo, oltre ad eliminare l’effetto looping, cioè la tendenza al galleggiamento che molti di questi materiali possiedono, avremo anche favorito e non poco, l’effetto di rotazione appena la carpa muove l’innesco. Quanto detto è implicitamente da collegare all’effetto di anti espulsione, ossia il potere di mantenere l’amo in posizione “attiva” anche e soprattutto nella fase di “sputo” dell’esca. Credo infatti che il vero passo in avanti nelle nostre montature sia da attribuire, in assoluto, alla  combinazione di questi effetti. Ne uno, ne l’altro, bensì la sinergia d’entrambi agevolata da alcune considerazioni ed ottimizzata di conseguenza. Personalmente credo che affinando queste pratiche si possa ancora migliorare. E questo è l’obiettivo che vedremo di mettere a punto prossimamente. Prima però volevo analizzare alcune situazioni “live” ossia, di carattere squisitamente pratico ed analitico. Abbiamo visto dove e come mangia una carpa, ora vediamo alcuni esempi molto frequenti di cosa può succedere nella realtà dei fatti. Una situazione comune potrebbe essere la medesima: stiamo pescando in  un lago (o cava grande), a  media pressione di pesca, dove la boilie è ben conosciuta ed accetta dal pesce. Abbiamo anche preventivamente pasturato il nostro spot con un’esca di qualità superiore, molto dotata sotto il profilo del gusto. Il fondale prescelto è duro, formato da grossi ciottoli di ghiaia e non ci sono detriti o depositi vari che sporchino il fondo. Arrivano le carpe. Diciamo un branco di 4 pesci di buona taglia. Trovano le prime esche… Inizia l’avida  ricerca, la fase conoscitiva per le esche che abbiamo eseguito si fa sentire e le carpe inghiottono volentieri e subito le nostre boilies. Il fondale pulito, privo di detriti, permette ai pesci di sputare poco. Una delle carpe arriva sopra l’innesco e presa dalla  frenesia,  data soprattutto dal buon gusto delle esche, aspira l’innesco e gira la testa per aspirare la boilie che ha lì vicina sulla sua destra, a 10 centimetri…Il terminale si tende, l’amo ruota, la sua punta gira verso  il labbro, arriva sino al contraccolpo del piombo e l’amo si pianta! La carpa, presa dal panico, fugge! E’ fatta! Stessa sorte capiterà, da qui a poco, anche agli altri 3 pesci rimasti…Situazione idilliaca. Il nostro terminale (in questo caso un line-aligner, con hair morbido di classica fattura) anche se mediamente poco dotato sotto il profilo dell’anti- eiezione, ha portato a termine egregiamente il suo lavoro semplicemente perché usato in un contesto che lo vedeva appropriato. Ma ora analizziamo un’altra situazione abbastanza ricorrente. Stesso terminale. Siamo sempre in lago ma molto meno battuto del precedente. Non abbiamo pasturato preventivamente. Il nostro settore è compreso in un sottoriva prossimo ad un canneto. Il fondale sottostante d’argilla  è abbastanza compatto, anche se la superficie è  tappezzata da una coltre di deposito molto leggero, oltre che a detriti di varia natura. Le carpe arrivano, intercettano i nostri richiami assaggiano e, stando ferme, sputano. Questa reazione per la carpa è  normale routine, in fase d’alimentazione, qual’ora l’alimento fosse nuovo e richiedesse una fase conoscitiva e di  assaggio. La carpa, in questo caso specifico sputa anche per espellere i detriti che assieme alla pallina sono entrati in bocca. In questo sistematico aspira e sputa, il nostro innesco è entrato nelle cavità orali delle interessate ed è anche stato risputato, più volte. Infine hanno  deciso di evitarlo, andando oltre, insospettite da un comportamento “vincolato” ed anomalo.  Una sola carpa nell’espellere  l’innesco non è riuscita ad espellere anche l’amo, che si è “appuntato” all’interno, provocandole un leggero fastidio che le ha fatto scuotere la testa, facendo innescare il principio del line-aligner. Il finale della storia già lo conosciamo. In buona sostanza, da questi 2 esempi,  potremo trarre alcune massime che all’apparenza non hanno nulla di nuovo. Ricercare le carpe in fondali possibilmente duri e puliti, evitando quelli morbidi e/o sporchi. Cosa che già facciamo largamente,  avendo appurato che in fondali duri e puliti abbiamo sempre avuto i migliori risultati. Forse ci siamo convinti, erroneamente, che le carpe si nutrano solamente sui “biliardi”.

Questo pensiero è  abbastanza fuorviante in quanto posso affermare, senza tema di smentite, che il pesce va alla ricerca di cibo anche in fondali non propriamente sgombri. La spiegazione a questo quesito sarebbe insita nel fatto che le carpe hanno comportamenti alimentari diversi, in fondali diversi. E allora se in fondali duri le carpe sputeranno molto meno, sarà molto più agevole la loro cattura con le montature che abbiamo a disposizione. Diversamente, in fondali mediamente poco compatti, del  tipo sabbia, ghiaino, erba, depositi di sospensioni, detriti e quant’altro possa entrare involontariamente nelle loro cavità orali, le carpe “soffieranno” all’esterno tutto quello che non riterranno opportuno trattenere…Troppe volte con l’innesco compreso! Sono convinto che i nostri montaggi soffrano ancora di troppi lati oscuri che fanno riferimento alle loro doti anti espulsione, troppo spesso trascurate, perché non ancora comprese . Sono altresì convinto che solo una vera sinergia tra doti di rotazione ed anti espulsione dell’amo, possano essere la direzione giusta da cavalcare, che ci potrà condurre verso  un rateo di successi più alto. Appurato che l’aspetto riguardante la rotazione dell’amo, sia stato portato ad un punto tale per il quale ritengo  improbabile un suo ulteriore miglioramento, al contrario credo che l’aspetto dell’espulsione dell’esca vada approfondito, e se possibile, migliorato. Basandomi sulle precedenti esperienze, ho selezionato alcuni materiali ed aspetti che uniti hanno portato ad un sostanziale miglioramento. Si tratta di due diversi tipi d’assemblaggio. Uno per boilies pop-up o bilanciate ed un secondo squisitamente affondante. La prima va assolutamente ad estremizzare i concetti anti espulsione creando un D-rig ad alto potere di traslazione, che può godere dei migliori effetti dell’uso di un amo a gambo corto con i benefici derivanti dal lungo asse artificiale creato per l’occasione. Il suo nome è volutamente pretestuoso e suona come Rocco-D-rig. La seconda creatura nata dall’ingegno di un giovane che frequenta il nostro forum di BigFish, si chiama Tribu rig ed è basato sulla migliore interpretazione dei concetti sin qui espressi, con alcune varianti ed ottimizzazioni evolute in questi ultimi mesi dal sottoscritto. Tutto questo, sarà mia cura presentare, con dovizia di immagini particolareggiate, nel prossimo numero. Ce la fate ad aspettare?

 

Didascalia delle foto a corredo:

Foto 4: Gianluca con il primo pesce caduto sulla prima montatura interamente costruita da lui.

Foto 5: E’ proprio in questa fase che apprezziamo la bontà dei nostri montaggi, specie se alla manovra vi sono persone inesperte ma non per questo meno innamorate del carpfishing.

Foto 6: L’attimo fuggente…Che vorremo fermare per sempre! Il tramonto di una serena giornata, e la vigoria indomabile di un bel pesce.

Foto 7: A volte la fortuna ci porta a conoscere prede  che hanno qualcosa di magico, non potremo mai permetterci di perderle... Sono proprio queste paure che ci fanno aguzzare l’ingegno!

 

Foto 8: Paolino: in braccio a lui le carpe sembrano tutte scardole!