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Passaggio Obbligato!

PASSAGGIO OBBLIGATO

 

Il punto sulla situazione attuale vede, da parte di chi inizia, una visione troppe volte distorta fatta di un carpfishing cervellotico e difficile.  Mille problemi ancora ci affliggono: pesca notturna,  long range, uso della barca e quanto d’altro.

Vediamo di fare un po’ di luce in più sull’argomento, sperando di poter migliorare…

 

Il carpfishing si sta concretizzando come un vero e proprio  fenomeno di massa. Facilitato dalla risonanza data dal grande impatto visivo che può avere questo sport, il sta spopolando soprattutto tra i giovani pescatori. Un accampamento ordinato, posizionato con cura e una  attrezzatura che fa bella mostra di sé, bastano già a catturare la curiosità ed accendere la fantasia in alcuni passanti che, affascinati, iniziano a fantasticare sulla libertà della vita all’aria aperta, attratti dal fascino velatamente misterioso dell’avventura.

Gli echi o, ancor meglio, gli avvistamenti delle eclatanti catture di questi ultimi anni hanno ipnotizzato e fatto schiavi, migliaia di appassionati. Cerchiamo di capire come si è evoluta questa situazione.

1992

In quell’anno stavo muovendo i primi passi. Entrai in possesso della  prima vera attrezzatura da carpfishing. In pochissimi (primo su tutti il mitico Daniele Campello) esercitavamo in una splendida grande cava della nostra zona e quest’acqua bastava a contenerci tutti, dandoci modo di non sovrapporci. Le tecniche consistevano nell’affinare il lancio dei terminali, con la canna, e delle boilies, con il cobra. Superato il primo scoglio, ossia quello di far conoscere la nuova esca alle carpe, le catture arrivarono belle e copiose, e assieme a loro la prima corposa tranche di carpisti novizi.  La prima fase di grande euforia inevitabilmente ben presto si concluse e arrivarono i primi problemi in parte legati alla qualità dell’esca e alla basilare meccanica dei terminali. Ebbe così inizio  un bellissimo periodo durante il quale vi fu una rigogliosa crescita tecnica e, a mio modo di vedere, questi sono stati gli anni più belli (forse anche perché non ero neppure trentenne).

1995

In questo periodo acquistai la mia prima imbarcazione da carpfishing spinto nel farlo da altri anglers concorrenti, ma anche dagli articoli che iniziavano ad apparire sulle riviste di settore. Le strategie attuabili con l’utilizzo del natante diedero per un lungo periodo risultati al di là di ogni aspettativa, e questo nuovo avvento sembrava non avere nessuna controindicazione se non quella di suscitare l’invidia del pescatore vicino, che ne era momentaneamente sprovvisto. Ma proprio questa sensazione di impotenza e completa inferiorità scatenò una reazione a catena, cosicché anche nei nuovi adepti vi era imperativo il bisogno effimero e contraddittorio di accaparrarsi una barca ancor prima delle canne da pesca. In questa epoca si diede inizio ad una spirale senza fine dalle dimensioni elefantiache e della quale si è perso il controllo, che arriva ai giorni nostri passando attraverso bufere di intolleranza e creando non pochi problemi all’intero movimento carpistico italiano, fatti che possono considerarsi come un funesto inizio se tutti, con buona volontà e coscienza, non ci imponiamo di correggere il tiro per riuscire a ritornare ad una situazione di normalità.

2006

In tutti questi anni un’ondata crescente di carpisti, sollecitati sopratutto dagli stimoli che derivavano dalle riviste che promuovevano divulgando in maniera entusiastica  risultati di pescate sensazionali ottenute con sistemi “estremi” (mi riferisco al long range, ma anche alle lunghe sessioni…), e dei quali anche io prendo le mie dovute responsabilità, ha preso d’assalto un gran numero di acque! Poche sono ancora quelle che non hanno visto piantare una tenda e varare in acqua una imbarcazione, ancor prima di sfoderare canne e boilies….Rarissime sono effettivamente le acque che hanno potuto seguire un iter naturale, dato da un’assuefazione graduale ai sistemi da parte del pesce presente, a cui facessero seguito  svariati e sempre più complessi, approcci tecnici. Molte acque vergini non avevano ancora visto una boilie, che già il sonar dell’ecoscandaglio indicava  al carpista, quali erano le profondità, i dislivelli e quant’altro. L’abbondanza  dei dati ricevuti dall’acqua ed in possesso al pescatore servivano a capire dove la carpa si sarebbe andata a nutrire. Il modo di intendere la questione poteva filare liscio per un certo tipo di (grandi) acque e ad un pescatore esperto, ma per un novizio, saltare a piè pari le conoscenze di base quali plumbing da riva, osservazione, settore, stagioni, etc, poteva risultare del tutto fuorviante. Infatti per molti è finita così. Il risultato più negativo fu quello di avere intere flotte, chiassose ed inutili, che navigavano senza meta in mille direzioni, alla ricerca di non si sa che cosa, indiscriminatamente anche in piccole acque  dove non si era mai visto un paio di remi o un’elica girare sopra pesci spaventati e con cuore in gola, che come ultima cosa avrebbero voluto nutrirsi…

Mi è capitato spesso di vedere novizi armati di tutto punto portare le lenze a 300 mt, contro una sponda raggiungibile a piedi e quindi con la possibilità di poter pasturare con tutti i tipi di esche… Ma  questo, che senso ha? L’unica risposta che posso dare è che nessuno ha mai spiegato loro che l’azione di disturbo che una barca esercita in alcuni contesti (neppure troppo ristretti), è di molto superiore al vantaggio che possiamo  trarre  da quel po’ di precisione in più. Il carpista intelligente deve perseguire tecniche di lancio atte a raggiungere il massimo riguardo a  precisione e distanza. Dobbiamo dimenticare certi discorsi un po’ troppo semplicistici e superficiali che molto spesso si sentono in giro, circa il totale disinteresse verso il lancio: “ tanto io pesco sempre con la barca!” Noi tutti ci stiamo rendendo conto di non poter più permetterci di continuare su questa strada che ci sta portando ad un infernale e inestricabile ingorgo!

Volendo spendere due righe sulla pratica (molto spesso abusata) del long range, potrei narrare del fatto di aver visto (e raccolto) chilometri di nylon dello 0.20 mm tesi verso orizzonti impossibili e cupi, nei quali, oltre alle catture, non si poteva intravedere nemmeno un futuro…Questa pratica ha portato a grandissimi problemi di convivenza in tutta Europa ed in tutte le acque più frequentate è stata vietata (per es. Cassien, Du Der, Endine etc.). Dobbiamo farcene una sana e semplice ragione, siamo tutti a voler pescare a lunga distanza e oggi, con i numeri raggiunti, non ce lo possiamo più permettere in ogni luogo ed in ogni situazione. Dobbiamo arrivare a capire che la pesca a lunga distanza è una strategia molto invasiva, pericolosa e scomoda, che va attentamente valutata ed  attuata solamente nei casi dove sia strettamente necessaria oltre che consentita .  Ma vale proprio la pena di pescare su quella “magica” sponda opposta, snobbando sistematicamente la nostra, verso la quale il carpista che abbiamo di fronte, sta pescando? Abbiamo ancora mai avuto il coraggio di fare la cosa più naturale e semplice, ossia lanciare un chiletto di esche e catapultare i nostri terminali precisamente al centro di esse, avendo la pazienza di aspettare? Ci siamo  erroneamente convinti che le carpe ci  stiano più lontane possibili, (in certi casi hanno pure ragione a farlo) ma poi in realtà esse nuotano dappertutto alla ricerca di alimento, anche e sopratutto sotto i nostri piedi. Il prezzo da pagare per questo onore è soltanto un po’ di silenzio. Molti motivi disquisiti sino a qui, sono perfettamente estendibili anche a ciò che riguarda la pesca notturna ed alle lunghe sessioni o per meglio dire, il campeggio che ne consegue. Premesso che in tante acque è praticamente inutile aspettare un’abboccata nelle ore di oscurità, quando la totale attività delle carpe è naturalmente concentrata di giorno e fatto salvo che in moltissimi casi la pesca notturna è ben tollerata dalle guardie anche ove ne vige il divieto, non tutti siamo perfettamente consapevoli di quanto sia diventato (sempre per colpa dei numeri) invasivo e pesante il nostro campeggio selvaggio. Molti non se ne sono ancora resi conto e pensano di essere davvero all’interno di una struttura organizzata e si comportano di conseguenza, ignorando di essere in mezzo alla natura per la quale siamo un fastidio anche ecologico (in riferimento ai rifiuti organici, disturbo della quiete, impatto visivo, e molto altro ancora). Accampamenti modello nomade, con asciugamani colorati stesi al sole, buffetteria e attrezzatura varia sparpagliata per un raggio incalcolabile, e ancora nell’orticello confinante nel quale dall’erba si intravedono spuntare piccoli funghetti coronati da larghe foglie di cellulosa bianca….Tutto ciò  non rientra nelle nostre contemplazioni etiche. Impariamo dagli inglesi che indicano come riparo modello, un ombrellone, bivvy o brolly, che dir si voglia, entro al quale troverà posto l’intero nostro corredo. Per motivi analoghi, in moltissime acque Europee si è giunti a questo tipo di soluzione. Anche da noi, presto, il rimedio sarà uno solo: IL DIVIETO!

 

Però noi non vogliamo arrivare a questo! Vero?? Quindi siamo arrivati volenti o nolenti ad  un passaggio obbligato. Il tempo stringe ma è anche maturo per assistere ad una nostra coerente metamorfosi, le nuove leve si stanno velocemente portando alla pari dei carpisti con più esperienza ed apprenderanno in fretta l’importanza e la gravità della situazione, oppure il vero problema siamo proprio noi, carpisti incalliti di vecchia data, cresciuti negli anni della libertà e dall’ abbondanza, avvinghiati a vecchi ricordi e per questo incapaci di vedere un nuovo carpfishing? Capiremo! Chi non accetterà il cambiamento, dovrà appendere le canne al chiodo, (o le farà appendere ad altri)  alla fine, forse, si era semplicemente stancato della propria passione! Ho sentito qualcuno dire di voler chiudere con questa pesca in quanto non ha più a disposizione il tempo necessario per le lunghe sessioni….(?) Le acque sono pronte e vogliose di accogliere un approccio diverso, le carpe sono stanche ed impaurite ad ogni ombra ingombrante e scura che sorvola minacciosa il loro settore, di trecce tese allo spasimo, per centinaia di metri, che come lame taglienti, fendono l’acqua vibrando un solo ed unico, inequivocabile urlo di paura. Basterebbe essere più coscienti e parsimoniosi nell’utilizzo di barche e tende, valutandone anche eventuali rischi, ragionandone a fondo le possibili controindicazioni, riflettendo sul loro reale fabbisogno, ma soprattutto non ritenendole indispensabili per il carpfishing. Cerchiamo di non diventare schiavi delle nostre passioni, dei nostri desideri,  diventiamo padroni di noi stessi! Nella maggior parte della acque, oramai la boilie è conosciuta e ben accetta dal pesce, anzi in moltissimi specchi d’acqua le carpe  ricercano questa esca e questo è uno dei più positivi ed importanti segnali moderni a nostro favore. É divenuto controproducente per noi stessi cibare i pesci  lontano da riva ed in orari impossibili, le carpe arriveranno fino a sotto i nostri piedi, anche nelle ore di luce, se solo siamo noi a volerlo! La ragionata condotta di pesca di molti miei amici, e anche  mia, è radicalmente mutata negli ultimi anni e con essa anche i risultati. Questo succede soprattutto nei luoghi dove oramai nessuno lanciava più, e si portavano “fuori” i terminali con la barca, sul far della sera, sino al mattino quando venivano puntualmente ritirati. Poi per tutto il giorno gli ami rimanevano ad asciugare appesi agli anelli delle canne da pesca, liquidando tale comportamento con un: “tanto di giorno non mangiano!”. Non trovate che sia semplicemente pazzesco? Il pesce aveva compreso che abbandonare la zona disturbata dallo sciacquio prodotto dal movimento di un natante, soprattutto nelle ore notturne, era l’unica via di salvezza da possibili terminali e quanto d’altro. Potrei affermare che una condotta tradizionale e il più naturale possibile sta facendo tornare il carpfishing ai vecchi splendori, oramai dimenticati. Quello che dico è supportato dai risultati concreti e verificabili, non è una personale campagna dissuasiva nei confronti degli appassionati, ma  trattasi di reali teorie di base dalle quali trarre uno spunto che porti ad un tangibile incremento delle catture. Poi se a questo sommiamo i benefici derivanti da acque un po’ meno “invase” e più tranquille, così come  gli animi di tutti i pescatori, non solo carpisti. Prima che i divieti che inevitabilmente continueranno imperterriti a cercare di sedare una condizione che altrimenti sfuggirebbe al controllo, arrivino a soffocare la nostra passione, facciamolo da noi. Forse la libertà, ora  in bilico, non è dopo tutto fare ciò che si vuole, senza limiti, ma piuttosto, saperseli dare! Iniziamo dalle piccole e medie acque, auto regolamentiamoci, ci sono troppi buoni motivi per poterlo fare. Il carpfishing del nostro domani, nella sua splendida poesia, si mette a nostro completo servizio e come un buon vecchio vino rosso che stappato dopo molti anni si fa apprezzare per essere maturato con coscienza, anche noi scopriremo che il vecchio carpfishing è maturato… ed è divenuto coscienza!