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L'ecoscandaglio

Ecoscandaglio

 

Questa nostra tecnica da specialisti richiede strumenti particolari e tecnologici, basti pensare agli avvisatori di abboccata ed ai sonar.

Questi ultimi attrezzi in grado di leggere il fondale, scrutando fra i misteri celati dalle acque, sono sicuramente i più affascinanti e incompresi.

La tecnologia si muove ad una velocità che mi impedisce di entrare nel particolare tecnico che rischierebbe di divenire obsoleto in tempi brevi. Ci sono comunque dei passaggi pratici, ignorati dai più, che vale la pena di trattare in questo apposito capitolo.

L’uso di un ecoscandaglio opportunamente settato e interpretato è superfluo in certi casi quanto fondamentale in altri. Lo studio di grandi masse d’acqua in stagioni ambigue, dove non è facile intuire la presenza del pesce, rappresenta il caso più eclatante della sua utilità! Così come la ricerca degli spot sommersi ricchi di ostacoli e ripari.

In pratica questo strumento emette onde ultrasonore non udibili che rimbalzano contro gli ostacoli che incontrano, con un’intensità direttamente proporzionale alla massa e alla densità dell’ostacolo stesso, sia esso un relitto, un palo oppure un grosso pesce che staziona in prossimità del fondo.

Il campo applicativo primario è la navigazione ed in seconda battuta la pesca in mare. Non esistono sonar costruiti espressamente per pescare le carpe e questo determina che si debba adattare il tutto (in termini di sensibilità e regolazioni) ai nostri scopi.

 

In genere il range di utilizzo prevede l’esplorazione di diverse decine di metri di profondità (anche centinaia) mentre l’azione classica di un carpista si applica da un metro fino ad un massimo di una ventina; questo comporta un sovra dimensionamento dei segnali ultrasonori rispetto al nostro bisogno.

 Queste onde che partono dal trasduttore con un profilo conico possono essere paragonate al fascio di luce che fuoriesce da una potente torcia portatile. Se noi immaginiamo di entrare in una stanza completamente buia e di illuminare la parete in fronte a noi, posta diciamo a 3 metri di distanza, possiamo visualizzare il cono di luce che disegna un cerchio luminoso sul muro.

 

L’angolo di cono con cui la luce esce, determina il diametro del cerchio illuminato. Facciamo finta che la nostra torcia (munita di zoom) sia regolata su un cono molto stretto. Ecco che il cerchio visibile avrà un diametro di circa un metro in cui riusciamo a distinguere qualsiasi dettaglio sul muro. Ma se vi fosse un bel quadro appeso in alto a destra, fuori dal cono, non riusciremo ad identificarlo perché rimarrebbe nella zona scura.

 

Per vedere un’area più grande ci basterebbe allargare l’obbiettivo, e di conseguenza il diametro del cerchio di luce, fino a notare la presenza del dipinto. In questo modo, una volta individuato e zoomando nuovamente puntando meglio la torcia, sarà possibile studiare ogni dettaglio del quadro.

 

L’ampiezza dell’angolo di cono del sonar è determinata dalla tipologia di trasduttore usato ed è facile intuire come sulle profondità interessanti per la nostra pesca sia opportuno utilizzare coni più ampi, per trovare maggiori dettagli e punti interessanti.

 

Tutti i moderni strumenti sono dotati di filtri ed elaborazioni grafiche gestite da un potente microprocessore, che traduce le onde sonore in simboli, contrasti di colore e animazioni.

 

Queste letture facilitate sono spesso ingannevoli e non rappresentano la realtà dei fatti in quanto elaborate su costanti che fanno riferimento al range di utilizzo dello strumento stesso. Ecco quindi come un simbolo di pesce, che rappresenta un grosso esemplare a 30 metri di profondità, possa essere frainteso quando l’animale si trova “solamente” a 10 metri sotto il pelo dell’acqua.

 

Per la ricerca del settore inteso come ostacoli e conformazione del fondale, lo strumento deve essere lasciato in manuale senza troppi aiuti elettronici, limitandosi a regolare il filtro dei disturbi sonori in modo che lo schermo sia sgombro da falsi segnali.

 

L’eco andrebbe sempre accompagnato da due fondamentali supporti meccanici: un gavitello da lanciare repentinamente in acqua che si posizioni all’istante su un punto ipoteticamente interessante (sono quei segnalini con sagola e zavorra che si srotola da sola una volta lanciato) ed un piombo sonda collegato ad un trecciato che ci permetta di verificare l’effettiva consistenza del fondo.

 

Poniamo il caso che si stia navigando in termini esplorativi per cercare uno spot dove calare.

 

Nel bel mezzo del nulla compare sul monitor il tronco di un albero che svetta quasi verticale dal fondo!

 

Siccome il natante è in movimento, nell’esatto istante in cui realizziamo di aver trovato un punto di notevole interesse, ci siamo spostati dallo stesso di alcuni metri.

 

Complice il vento e l’assenza di precisi riferimenti a terra, potrebbe essere davvero arduo ritrovare ed analizzare meglio la cosa.

 

Se invece gettiamo la boa a poppa immediatamente dopo aver realizzato la presenza dell’oggetto, fissiamo un riferimento fisico imprescindibile e ci basterà girarci attorno per verificare meglio.

 

A quel punto possiamo marcare lo spot con il GPS (ormai presente su tutti gli eco di ultima generazione) oppure lasciare un segno fisso di dimensioni adeguate.

Qualora ci si imbatta in rapidi cambi di consistenza del fondo, che da duro e compatto diviene erboso oppure molle, una volta segnalato in maniera analoga lo spot si potrà procedere ad un sondaggio preciso

 usando il piombo a mano e verificando, ad esempio, di quanto si sprofonda nel limo.

Questa operazione è fondamentale per regolare poi la lunghezza del nostro terminale per due motivi, il primo è che su fondo duro e roccioso le carpe aspirano le boilies anche da alcuni decimetri di distanza, il secondo che se il terminale affonda nel limo dobbiamo essere certi che l’innesco resti visibile.

In ambo i casi siamo costretti ad usare un rig di almeno 20-30 centimetri contro i canonici 10-15.

Un altro particolare su cui soffermarsi è capire la scala di grandezze dello schermo del nostro strumento.

In genere il lato verticale del monitor riempie la scala della profondità (oppure lo zoom se è attiva questa regolazione) mentre il lato orizzontale l’ampiezza del cono visivo.

Devo quindi rapportare i segnali che vedo in manuale e l’ipotetico palo che svetta per 1/3 della grandezza del monitor che legge una profondità di 6 metri, sarà proporzionale, cioè almeno un paio.

Lo stesso dicasi per le forme ad arco che “dovrebbero” rappresentare i pesci presenti.

Il condizionale è d’obbligo perché alcuni oggetti (esempio banchi di alghe fluttuanti e fitte) potrebbero essere fraintese e confuse.

Un arco ben definito dal fondo ed in prossimità dello stesso è un segnale abbastanza preciso della presenza di un buon esemplare.

Se questo segno è ampio e leggermente inclinato, potrebbe essere un grosso predatore o la tanto agognata carpa! (il predatore punta con il muso verso l’alto quando è in caccia, mentre la carpa verso il basso quando si alimenta).

Per nostra fortuna, i grossi archi in acqua dolce sono quasi certamente carpe o siluri.

Individuare il pesce è la forma più avventurosa di pesca alla carpa perché si spende molto tempo in ricerca e ogni cattura è meritata e guadagnata con enorme soddisfazione.

Per ottenere i migliori risultati con animali che hanno spesso abitudini notturne conviene scandagliare le ipotetiche aree di alimentazione dopo il tramonto, ricercando proprio i pesci intenti a mangiare.

Per analogia, se vogliamo individuare un’area di stazionamento, possiamo identificarla anche durante le ore di luce.

Mi rendo conto di aver trattato in maniera attenta ma generica l’argomento non essendo possibile portare in causa un singolo strumento invece di un altro.

Al momento in cui scrivo la tecnologia è arrivata ad offrire una scansione con definizione fotografica tridimensionale, con una gamma di colori prossima a quelli disponibili sullo schermo di un personal computer.

A mio modo di vedere le cose e alla luce di quanto scritto, ritengo superflue queste caratteristiche per un uso esclusivo nella pesca alla carpa, mentre potrebbero essere fondamentali per la ricerca dei predatori a spinning.

Un ecoscandaglio con una buona definizione dello schermo, una scala di grigi differenziata in funzione della durezza del fondo, con un trasduttore multi frequenza e la possibilità di settare tutto in manuale, rimane la scelta più economica ed adatta allo scopo.

Se poi unisce la comodità del GPS sullo stesso strumento ci facilita l’assegnazione del “way point” e la definizione delle rotte che ci permettono, anche al buio o nella nebbia, di raggiungere lo spot di calata e di rientrare a riva.

 

(Video sull'ecoscandaglio, clicca qui per vederlo)

(Pillola podcast sull'ecoscandaglio)