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I terminali del Carpfishing

Molti autori moderni associano la nascita del carpfishing alle prime montature create per innescare esche specialistiche. L’antesignano di tutti i montaggi è l’hair rig inventato da Middleton verso la fine degli anni ’70. Lenny osservò il modo di alimentarsi di alcune carpe che aveva in un grosso acquario e notò che gli animali erano soliti sputare e aspirare più volte il cibo prima di decidersi a ingoiarlo; decise quindi di sviluppare una strategia che avrebbe lasciato la punta dell’amo libera innescando l’esca su un’asola di sottile filo di nylon legata alla curva dell’uncino.

Nacque così lo stadio embrionale di una soluzione che sarebbe stata rivelata al pubblico nel 1981 e poi diffusa capillarmente attraverso gli scritti di uno dei più famosi autori dell’epoca: Kevin Maddocks.

Il concetto dell’amo esposto è molto originale e se ci pensate poco consueto nel mondo della pesca dove si tende a nascondere l’insidia all’interno dell’esca in modo che i pesci non la possano vedere. Come può funzionare quindi un sistema apparentemente così banale?

Io stesso avevo delle perplessità quando per la prima volta mi trovai nella condizione di infilzare una boilie per inserirla sullo spezzone di filo esterno al mio uncino.

Pescavo nei pressi di un campo gara, dove gli specialisti della pesca al colpo erano costretti a infilare “a calzetta” un bigattino su minuscoli ami legati a filamenti microscopici per ingannare i furbi cavedani ormai abituati a rifiutare l’esca al primo assaggio. Rimanemmo stupiti (e loro sconvolti) quando iniziammo a catturare uno “squalo” dietro l’altro sui nostri grossi ami legati a dacron di diametri imbarazzanti! In questo modo fu facile capire che anche le grosse carpe non avrebbero avuto alcuna difficoltà.

Per capire meglio quali furono le idee sviluppate da questi due pionieri, vi rimando alle immagini a seguire che svelano in modo molto chiaro quale fu l’approccio basico all’hair rig. Nella prima foto della gallery potete notare come il sottile filo di nylon o treccia (potete usare uno 0,10 mm.) venisse legato alla curva dell’amo sporgendo per circa 3 centimetri in modo che infilando una boilies da 18-20 mm. di diametro (che è la misura considerata standard) questa potesse rimanere a circa un centimetro di distanza dalla curva stessa. È interessante notare come questa soluzione sia comunque molto valida anche ai nostri giorni soprattutto se applicata a pesci poco maliziosi. Vedremo comunque a seguito di analizzare i difetti e come creare un terminale che sia adatto a tutti i contesti.

Il principale difetto di questo montaggio basico è legato alla dimensione dell’esca e al suo peso specifico; si adatta cioè molto bene a boilies o granaglie piccole e leggere ma tende a creare allamate poco sicure in caso di boilies grosse e pesanti. In pratica durante l’assunzione dell’esca l’amo entra in bocca con la punta rivolta verso le labbra, ma c’è il rischio che in fase d’espulsione si giri su se stesso uscendo rivolto nel verso sbagliato.

Già verso la metà degli anni ’80 si cercò di rielaborare il concetto spostando l’inserzione del capello più verso l’occhiello dell’amo e si scoprì che il punto migliore in assoluto era sul gambo in un’area che fosse circa all’altezza dell’ardiglione.

Nel frattempo anche i materiali da costruzione sono molto migliorati e oggi abbiamo a disposizione una vasta gamma di trecciati specifici divisi per peso specifico e resistenza alla rottura. Sono oltretutto disponibili ami già montati e pronti all’uso che rappresentano di certo la scelta ideale per chi inizia se non altro per avere un esempio pronto a portata di mano facilitando la realizzazione di una replica precisa.

In questo volume mi prefiggo di insegnarvi a fare da soli e vediamo quindi come e con cosa realizzare un terminale efficace che valga nella maggior parte dei casi.

Il mio consiglio è di usare una treccia morbida e affondante nella pesca in acqua ferma, oppure un nylon specifico da terminale in acqua corrente e quando si vuole lanciare molto lontano senza correre il rischio di ingarbugliare sulla lenza madre.

La resistenza del terminale (definita libbraggio) è funzionale alla possibilità che questa si possa tagliare o rompere in funzione dell’ambiente e della taglia del pesce.

In genere la classe di rottura dell’ultimo spezzone deve sempre essere subordinata a quella della lenza madre per evitare che, nel malaugurato caso di rottura accidentale, il pesce si ritrovi a vagare con decine di metri di filo in bocca.

Possiamo ricondurre il tutto a un range compreso fra 15 e 25 libbre che rappresenta l’ideale per l’uso in tutte le acque normali che non presentino particolari rischi e ostacoli, quelle praticamente ideali per chi inizia (ne parleremo poi nel capitolo sugli ambienti).

 

Nella prossima foto vi rappresento l’evoluzione dell’Hair rig basico della precedente, facendovi capire come il punto di uscita del capello fu fatto slittare verso l’occhiello utilizzando semplicemente lo spezzone in eccesso dalla legatura realizzata con nodo Palomar, uno dei più sicuri e semplici da eseguire (seconda foto della gallery).

In definitiva il terminale di base affidabile, facile da realizzare e utilizzabile sia con trecciati che nylon è il “no-knot” ovvero il senza nodo.

Questa brillante soluzione permette di ottimizzare la realizzazione garantendo il famoso punto d’uscita del capello sul gambo, all’altezza dell’ardiglione, evitando anche la presenza di un nodo classico che rappresenta sempre un punto di debolezza del montaggio (nel caso del Palomar evidenziato nel disegno, si mantiene più del 90% del carico di rottura della lenza).

Per costruire il tutto si utilizza uno spezzone di 30-35 centimetri di treccia morbida affondante e un amo a occhiello di tipo “boiliehook” come quelli rappresentati nelle foto a corredo.

Le operazioni sono le seguenti:

1.     Realizzo la piccola asola che servirà a bloccare l’esca grazie ad un accessorio detto stopper (che agli albori era rappresentato da un pezzo di legno o stuzzica dente) all’estremità dello spezzone di lenza.

2.     Infilo la lenza nell’occhiello dell’amo passando dalla schiena verso la punta.

3.     Regolo la lunghezza del lato con l’asola che si deve trovare a sporgere di 3-4 centimetri dalla curva dell’amo.

4.     Tenendo ferma la lenza lungo il gambo giro intorno allo stesso, a risalire e poi ridiscendere, a spire serrate, per tanti giri quanti ne servono per arrivare in parallelo all’ardiglione.

5.     Ripasso dall’occhiello sempre dalla schiena verso la punta bloccando le spire.

6.     Il terminale è pronto. Molti pescatori preferiscono per sicurezza sigillare il tutto con un goccio di colla adatta allo scopo oppure infilando un piccolo pezzo di tubicino elastico che serra bloccandole le spire. L’opzione colla è la più pratica e funzionale da mettere in atto in pesca.

A questo punto avremmo ottenuto un terminale lungo circa 20 centimetri, una misura standard adatta in molteplici occasioni.

 

Misure più corte o più lunghe si adattano a impieghi molto specifici, ma per affinare questo tipo di dettaglio vi rimando a testi più avanzati come “Carpfishing ambienti e strategie”. Le foto a seguire nella gallery spiegano in maniera chiara come realizzare questa efficace soluzione e come collegarla al resto della lenza e al piombo che saranno argomenti iniziali del prossimo capitolo sugli attrezzi che completano la nostra montatura.

 

(vuoi conoscere la storia dettagliata dell'hair rig? clicca qui per leggere un articolo completo)

 

(vuoi conoscere un terminale più avanzato all round? clicca qui per l'articolo sul Crazy D rig)